Era costui un uomo sulla quarantina, con una testa caratteristica, giallognola e solcata di rughe, sulla quale spiccavano due occhietti fosforescenti, un naso a patata e una bocca, foggiata a ferro di cavallo. Sotto il mento, poi, si sviluppava una magnifica gola, molle e penzolante come quella dei gallinacci. Aveva il corpo grosso, rivestito di un abito nero, lungo sino alle ginocchia e allargantesi, dalla cintola in giù, a guisa di sottana scozzese. Sugli scarpini da ballo portava un paio di uose grigie.
Lo strano individuo si chiamava Bonci, ma era più conosciuto sotto il nome di signor Questo-questo-e-questo. Il nomignolo un po' lungo, gli veniva da un suo modo bizzarro di intercalare i discorsi. Egli era l'uomo più allegro di questa terra e riempiva le sale con le sue risa e con i suoi motti. Però, come attirato da un sole, si aggirava quasi sempre intorno ad un gruppo di signore, fra le quali non poteva penetrare, ma che tentava distrarre ogni tanto con qualche aneddoto. Nel mezzo del circolo sedeva Anna Vincigli, la deliziosa avvocatessa.
Costei, a un tratto, si rivolse al Bonci:
— Dica, signor Questo-questo-e-questo. Potrebbe raccontarci qualche sua storia, come intermezzo fra un ballo e l'altro?
— Volentieri. Ma allegra o triste?
— Oh, la preferisco triste. Ma che non faccia piangere.
Il Bonci si fece largo fra mezzo alle donne e, posto un cuscino ai piedi della Vincigli, sovra quello sedette. Intorno, si era stabilito il silenzio. Tutti, uomini e donne, avevano fatto cerchio e attendevano.
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