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      Sarà la mia gloria e il mio trionfo, poichè sarà l'incarnazione di tutta la mia vita tormentata dall'enorme visione».
      Nella sala gravava terribile il silenzio. I cortigiani e il re stesso non osavano muoversi, immobilizzati dallo spavento di quanto doveva accadere.
      Ed ecco squillare, fuori, le trombe, e un lungo urlo echeggiare, pronunciato da mille bocche. Giungeva il principe.
      L'urlo si ripetè per le gradinate e pei portici. Poi si formò di nuovo gravoso il silenzio. Il principe entrava nel grande salone. Era una rigogliosa giovinezza e portava in sé il profumo di tutte le vitali energie. Lo seguiva un gruppo lascivo di bellissime donne, i manti ricchi di gemme, i volti lucenti di salute e di desideri.
      Pietro Martino rotolò incontro al giovane, le braccia aperte.
      Ma il principe, volgendo su di lui uno sguardo distratto, lo allontanò con la mano dicendo: «Vecchio, non ti conosco», e proseguì tranquillo e sicuro la sua strada sino ai piedi del trono. «Padre», così parlò inginocchiandosi innanzi al monarca, «io ti porto di nuovo il fiore della mia esistenza, figlio sempre ubbidiente e a te sottomesso». Poi, drizzato il robusto corpo, tuonò: «Ho conosciuto un sogno, nella mia adolescenza. Lo balbettavo sotto lo sguardo vigile di Pietro Martino, mio maestro. Sogno di pazzo! Forse non era fatto per me e per la mia indole avventurosa, ma variabile molto. Sono forte e giovane; ho preferito vivere e amare. Padre, la missione del ribelle è atta alle spalle di chi non sa e non può godere le gioie della forza e della salute.


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Genova misteriosa
Scene di costumi locali
di Pierangelo Baratono
pagine 280

   





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