— Perchè, signor Cerruti?, chiese il Bonci.
— Eh, via! Il suo racconto è semplicemente anarchico.
Rotto il ghiaccio, ciascuno volle parlare. Perciò, in breve il salone risuonò di voci confuse e di risa.
Il Bonci e il Cerruti si erano appartati nel vano di una finestra.
— Ebbene?, chiedeva sottovoce il Cerruti.
— È restìa, e mi mette alla dannazione.
— Glielo dissi. Con quella donna non bastano le chiacchiere. Occorrono fatti, e molti.
— Se sapesse quanto l'amo! Ma non sono ancora riuscito a ottenere da lei una promessa. Ieri, mi disse che aveva paura di me e di sè stessa; ma poi si pose a ridere.
— Senta, soggiungeva il Cerruti. Per la simpatia, ch'Ella m'inspira, le farò una proposta. Possiedo un villino appartato, ove nessuno verrebbe a cercarla. Provi a indurre la Vincigli a seguirlo. Potrà passare una magnifica luna di miele.
— Scherza? Abbandonare il marito, romperla col mondo!
— Quella donna è capace di tutto, se ama. Si faccia amare. E poi, le confesso che sono un egoista e che, siccome dovrò passare nascosto nel villino qualche tempo, vorrei trovarmi in buona compagnia.
Il Bonci sussurrò:
— Per la «Pancia del Rospo»?
— Appunto. Ma lassù mi chiamo Federico Drinken. Il Cerruti viaggia in lidi lontani.
Il Bonci si fece pensieroso.
— Se potessi indurla! Ma vorrà accondiscendere? E poi, non teme lei, signor Cerruti, che quella donna parli?
— Al contrario. La conosco abbastanza e, appunto perchè la stimo, vorrei averla per ausiliaria. Del resto, una volta installati lassù, m'incarico io di farla accondiscendere al suo amore ed ai miei disegni.
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