Ma la poesia della fede non può venire intesa da uomini, dediti agli affari e immersi nelle cifre e nei guadagni.
Il popolo, credulo anch'esso, rispecchia le tendenze della borghesia. Al di fuori, questa si mostra affaccendata ed avida di denaro; ma in chiesa si spoglia di ogni sua qualità, per assumere solo l'aspetto dell'umiltà ipocrita e della debolezza.
Per tal modo è facile trovarsi di fronte a spaventose contraddizioni.
Il parassita, l'usuraio, lo sfruttatore diventano da un istante all'altro agnelli del Signore e quelli, che, nelle processioni, avean portato divotamente il baldacchino e le candele, la sera si immergono con avidità nei piaceri della lussuria.
Le processioni! Per fortuna, sono rare. Ma quelle poche presentano la più strana accozzaglia di fanatici in abito nero e in cappello a cilindro. Qualcuno fra costoro un'ora prima riduceva alla miseria, con un colpo di borsa, centinaia di famiglie. Altri meditano untuosamente una squisita cenetta per la sera e il letto di una seguace di Venere.
L'ipocrisia, la più schifosa delle malattie morali, informa il carattere di quasi tutti questi adoratori del cielo. Essa spegne i loro sentimenti più nobili, vuota i loro cervelli, li rende automi incoscienti ed abbietti nelle mani del clero e sotto l'impulso dell'oro.
Del resto, il prete, in Genova, è una specie di Giudice. Esso decide sulle vertenze, si occupa con cura amorosa dei testamenti, protegge o maledice. Guai all'incauto, che gli schiacci un piede! Tutte le ragazze da marito dipendono da lui e non si sposano, se non secondo il suo beneplacito.
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