Crebbi così, in mezzo ai miei studi ed ai miei capricci, fra gli scartafacci dei miei manoscritti e la solitudine della mia anima. A vent'anni non avevo ancora provato l'amore. Consideravo gli uomini come scimmie addomesticate; avevo per essi tenerezze di sorella e disprezzi di selvaggia. Un giorno dissi: «O lui o nessuno». Chi era questo lui? Neanch'io lo sapevo. Sapevo soltanto che non mi sarei mai piegata alle sciocche preghiere di un Werther nè alle impetuosità di un don Giovanni. Piuttosto, avrei preferito la volgare umanità di un operaio. Così lo concepivo, l'uomo: forte, sicuro di sè; brutale magari, ma schietto.
Un giorno, conobbi uno strano tipo di anarchico, un giovanotto esile e delicato, con gli occhi azzurri e l'espressione del viso dolce e mansueta. Malgrado l'apparenza debole, egli aveva molta energia. La sua propaganda continua, con scritti e discorsi, lo dimostrava. Era instancabile. Aveva già dovuto subire le sevizie della polizia; era già stato imprigionato più volte, poi espatriato. Ritornò da capo nella sua città nativa, sempre più intestato nella lotta. Aveva ventinove anni e ne dimostrava diciotto; moralmente aveva già vissuto due vite. Egli mi conobbe e si affezionò a me come un gatto a una buona padrona. Quanto a me, insensibilmente subii il fascino di quegli occhi azzurri e di quella ardente parola. Lo cominciai ad amare per la sua stessa debolezza fisica, indugiandomi in carezze da sorella. A poco a poco dall'intimità del dialogo passai a quella del lieve tocco di mano, poi dell'abbraccio, poi del bacio.
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Werther Giovanni
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