Era quella, appunto quella la visione, che lo tormentava, adesso, e lo spingeva a volgere i passi in ora insolita per l'ampia distesa di sabbia. Pure non sentiva ancora lo stimolo acuto del lavoro, poichè l'immagine gli appariva annebbiata ed incerta. La speranza, più che altro, alitava nella sua anima, illudendola di trovare un po' di pace, di sfogo in quella plastica raffigurazione della sua ambascia. Oh, se l'avesse vista innanzi a sè, realizzata con tutta la potenza della verità e la forza della passione, quell'interna amarezza, che gli inaspriva la vita, forse si sarebbe potuto rialzare, avrebbe potuto guardare più sicuro nell'avvenire; chi sa, avrebbe ricominciata l'esistenza di un tempo.
Tornò verso casa, scoraggiato. Malgrado il sogno, malgrado il lavorio lungo e acuto dell'immaginazione, la figura rimaneva sempre nella nebbia, come una cosa inafferrabile. Camminava meccanicamente con gli occhi bassi e il volto contratto nello sforzo della ricerca. A un tratto alzò il viso. Innanzi a lui si drizzava la torre, che gli faceva da asilo, rigida fra le sabbie e contro il cielo, con i suoi merli rotti e le profonde fessure dei muri rossastri. Sulla soglia c'era una forma umana, seduta, raggomitolata, con i cubiti sulle ginocchia e il viso nascosto fra le mani, le spalle coperte da un viluppo di capelli lunghi e arruffati. Il "Gufo" si fermò, meravigliato. Allo scricchiolio dei suoi passi sulla rena quella creatura aveva alzato un visetto di ragazza, magro, appuntito, sul quale gli occhi scintillavano con un'espressione di timidezza feroce.
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