Appunto a Torino conobbi uno di questi bizzarri figli del caso. Era un simpatico giovinotto sui venticinque anni, pieno di brio e di vitalità nel suo piccolo corpo irrequieto. I capelli ricciuti, spioventi di sotto al tradizionale berretto di flanella, largo e piatto, e la breve barba a punta, di un color castano chiaro, accuratamente pettinata, lo designavano a prima vista per uno di quei vagabondi artisti sempre in caccia di un sogno e di una colazione. La finezza del naso aquilino e la dolcezza dello sguardo temperavano quel po' di studiato e di esteticamente pretenzioso, che poteva rivelare il resto della fisonomia. Quanto agli abiti, ne possedeva uno solo, corto e attillato e "completamente all'ultima moda", come diceva lui sorridendo. Un piccolo mantello di lana turchina, che gli arrivava ai fianchi, era l'unico lusso che, nella stagione invernale, si permettesse. Poteva sembrare un imitatore di altri costumi e di altri tempi; era, invece, originalissimo. Del resto, la sua poca istruzione non gli permetteva di appoggiarsi a ricordi letterari. In politica era rimasto fedele all'impero Napoleonico, in letteratura si limitava a declamare Ugo Foscolo e le rime di Pompeo Bettini. Ogni altro nome, per lui, era lettera morta. Qualche sera, allorchè la luna gli carezzava i capelli, bagnandolo col suo vivo scintillio, ammetteva che potessero esser vissuti altri geni. Ma erano i suoi minuti di condiscendenza; e guai a chi gliene avesse riparlato il giorno dopo.
Lo conobbi in un momento caratteristico.
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