Ma il suo schietto sorriso non era, per questo, fuggito dalle sue labbra. Perfino nella vita d'impiegato, che aveva fatta per qualche mese, era riuscito a crearsi un buon umore fittizio. Le sue mani fini di pigro sognatore si erano imbrogliate fra le pratiche polverose senza strappargli di bocca che risate e motteggi. Appunto in quell'epoca i colleghi d'ufficio avevan trovato per lui il nomignolo di Buono-a-niente. Era colpa sua, se le dita, invece di tracciare cifre e note, disegnavano fogliami o paesaggi? Il soprannome, foggiatogli dalla malignità burlesca dei mangia-carta e bevi-inchiostro, gli era rimasto anche con i pochi amici delle soffitte. Ormai nessuno lo chiamava più Giorgio Rocca.
Egli mi raccontava tutto ciò, ridendo, e confessava che il nomignolo era indovinatissimo. Infatti, a ben poco si sentiva adatto, tolto dai suoi disegni. E anche in questi si stancava subito. Quante ordinazioni gli erano andate in fumo per la sua pigrizia! Quante volte aveva stancato i clienti con la lentezza del suo lavoro! Oh, avevano ben ragione, amici e nemici, di chiamarlo Buono-a-niente!
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Da quella sera mi trovai sovente in compagnia del mio nuovo amico e cominciai ad affezionarmi a quella singolare natura di spostato. A volte ingenuo come un fanciullo, a volte scaltro come una scimmia, generoso sempre nella sua miseria, egli profondeva intorno a sè l'allegria come un tesoro. I momenti di malumore li aveva anche lui, allorchè gli mancavano i denari in tasca, il tabacco nella pipa e gli amici nella povera camera all'ultimo piano.
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Buono-a-niente Giorgio Rocca Buono-a-niente
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