Nessuno aveva mai compreso il mio povero Buono-a-niente; ogni cosa aveva ostacolato quella tempra d'artista sibarita nel difficile cammino dell'esistenza.
Ricordo un episodio, che potrebbe dimostrare come, anche nei piccoli avvenimenti, la fatalità si divertisse a porgergli un'uguale porzione di gioie e di dolori. Uno dei soliti amori, questa volta con una studentessa; ma un amore disgraziato, poichè si rivolgeva ad una donna più bizzarra ancora del pittore, piena di contraddizioni e di capricci.
Il mio amico aveva persa quasi ogni speranza. Talvolta, mi diceva:
- Forse verrà il momento buono anche per me. Ma bisogna che mi fidi di quella pazzerella, che è tanto cattiva e lo farà attendere a lungo!
Una notte, verso le dieci, tornò a casa. Aveva girato parecchie ore per trovar da mangiare. Digiunava da un giorno; e a venticinque anni il digiuno è ben lungo! Finalmente, appunto verso le dieci, aveva trovato un amico fotografo e si era fatto regalare da lui due o tre cartoline illustrate. Riuscì a venderle a un tabaccaio; poi corse a comprare pane e prosciutto e s'affrettò verso la sua soffitta. Non aveva ancora addentato il pane, che gli era costato tante parole e tanti espedienti, allorchè l'uscio della cameretta si aprì o, per meglio dire, si spalancò, poichè era sempre socchiuso. Dal buio del pianerottolo suonò una voce lamentevole:
- Hai da mangiare?
Era un amico, il quale, come lo spettro della fame, compariva dinanzi a lui in quel critico momento.
- Vieni avanti: divideremo; borbottò Buono-a-niente.
| |
Buono-a-niente Buono-a-niente
|