Ma ciō, che l'aveva pių impressionata, era lo studio: una grande stanza tutta ingombra di tele e di quadri, nella quale essa si recava spesso a divorare con gli occhi le belle figure, che il padrone, un pittore celebre, s'era compiaciuto di ritrarre. Come sarebbe stata contenta d'aiutarlo, magari di porgergli soltanto i colori! Ma il padrone era un uomo triste e solitario e, specialmente quando lavorava, non voleva nessuno intorno a sč. Una volta essa aveva tentato d'imitare un viso di donna sopra un pezzo di carta bianca. S'era messa d'impegno con un lapis e un frammento di gomma; ma sul pių bello era capitato nello studio il pittore e l'aveva sgridata, impadronendosi del foglio. Che paura le aveva fatta, in quel momento! Ma poi s'era subito rasserenata, poichč lo aveva visto sorridere del disegno: s'era perfino sentita sfiorare i capelli da una mano di lui in una lenta carezza. Adesso ripensava a tutto questo, guardando le nubi, che s'accavallavano nel cielo con moto indolente. Sentiva il bisogno di far qualcosa: le sue dita macchinalmente tracciavano per l'aria dei segni, quasi volessero imitare le curve e i profili di quelle incostanti abitatrici dell'atmosfera. Un'impressione di gioia le scorse per le membra e le fece battere il cuore, colorandole il pallido visino. E la fanciulla si mise a cantare, come un uccellino felice, fra mezzo al silenzio dei prati. Ma una voce rude la tolse dalla sua estasi e una mano pių rude ancora le si posō sopra una spalla a scuoterla con un gesto rabbioso:
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