Un cane abbaiò forte; poi essa sentì scricchiolare la ghiaia vicino a sè. Il corpo peloso di un grosso mastino le si gettò addosso, mugolando di piacere. Era proprio Bull, il suo amico, che la riconosceva e le faceva festa. La bambina gli buttò le braccia intorno al collo e si strinse forte a lui, bagnandogli il muso di lagrime. La voce, già udita, in quel momento le suonò vicinissima con un'espressione di meraviglia:
- Sei tu, Pagliuzza? Che ti è accaduto?
Essa rialzò il visino e non seppe che balbettare:
- Perdono! Perdono!
- Via, calmati, piccina; le disse il pittore, al quale, appunto, apparteneva la voce.
Le accarezzò i capelli e prendendola per una mano la obbligò ad alzarsi e a camminare al suo fianco.
Quando si trovò in sala, sotto la luce viva del lampadario, e vide la famiglia del padrone che la circondava premurosa e lui stesso, chino su di lei, col volto atteggiato a un'espressione d'affetto, la fanciulla ebbe un'altra crisi di pianto.
- Dì, che ti è accaduto? Parla, piccina; la esortava il pittore.
- Oh, padrone, per pietà, singhiozzò essa, mi prenda con sè, non mi lasci tornare laggiù!
- Perchè? Perchè? Ti trattano male? Ti picchiano, forse?
Essa non potè rispondere, ma chinò il capo, strofinandosi con le mani la sottana.
- Hai fatto bene a venire, le disse la signora. Starai con noi, per ora; poi vedremo d'aiutarti. Adesso cenerai: e dopo, a letto, perchè devi essere stanca.
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* *
Il domani suo padre venne alla Villa, chiamato dal pittore.
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Bull Pagliuzza Villa
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