Raccolse un poco le idee, poichè da principio non ricordava più nulla. Ma subito le vennero alla memoria le parole udite. Si buttò col viso sul guanciale, nascondendolo fra le piccole braccia. Era vero, dunque? Essa era la figlia del padrone! Oh, la sua piccola anima ingenua sentiva vagamente d'essere condannata a un dolore infinito, più grave ancora di quelli, sofferti nei tempi trascorsi. Non c'erano più speranze per lei, poichè non possedeva più una casa, una famiglia. Laggiù, avrebbe trovato un estraneo brutale e una mamma, che non poteva consolarla nè difenderla. Qui c'era un padre buono, sì, ma che non avrebbe mai dimenticato che essa era un'intrusa fra quelle pareti. E poi, la signora l'avrebbe guardata con diffidenza, forse con odio. E il signorino? Essa non avrebbe mai potuto chiamarlo fratello senza dare un gran dolore a chi l'aveva raccolta. Tutto era finito, intorno a lei!
Una mano le tolse le braccia di sopra alla testa e le sollevò il visino dal guanciale. In pari tempo il pittore, che la guardava amorevolmente, chiese:
- Come stai, piccina?
La fanciulla tentò di rispondere; ma l'altro continuò sorridendo:
- Zitta, adesso! Più tardi, mi dirai ciò che pensi. Perchè, ormai, non lascierai più questa casa. Ti insegnerò a disegnare e a dipingere e credo che potrò far di te qualche cosa. Ma non devi più pensare alle parole di quel contadino. Tutte sciocchezze! Sarò un padre per te, certo; ma non il vero.
Un'ombra di tristezza gli velò il bel volto sereno. La fanciulla, che lo guardava intensamente, s'accorse ch'egli aveva l'anima scossa da una pena, da lei ignorata, ma che le faceva salire alla gola un gruppo di pianto.
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