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      Pur mi scossi e mi avventai su per la collina, sino alla vetta nuda. Là, abbandonata sulla roccia, bianca e rigida come una morta, trovai Mehara: al suo fianco, Damianti piangeva torcendosi le braccia delicate. Molte cure occorsero a far rinvenire la fanciulla; infine, i colori della vita tornarono sulle sue guance e si riaprirono i grandi occhi glauchi. Il suo primo sguardo si posò su di me, uno sguardo denso d'odio e di minaccia, che mi fece rabbrividire. Poi Mehara cominciò a parlare pianamente, tenendo fra le sue le mani della sorella e pur continuando a fissarmi le pupille, nel volto:
      - So quanto è accaduto, laggiù, tra voi due; ho inteso nella mia anima l'eco del vostro bacio. Perdonate la debolezza, che mi ha vinta per un istante. Il pensiero di dovermi staccare da mia sorella, di dover dividere con altri il suo affetto, è stato più forte di me. Voi vi amerete.... ed io me ne andrò, lontano, ove vorrà guidarmi il destino. Non parlare, Damianti. So quel che vorresti; ma non posso rimanere con te. Le nostre anime erano indissolubilmente legate l'una all'altra; uno straniero è venuto e le ha divise, per sempre. Non piangere; la tua pena è grande, ma non quanto la mia!
      Tornammo all'albergo, non osando guardarci nè rompere il penoso silenzio, che ci gravava sull'anima.
      Da allora mutammo profondamente le antiche abitudini. Io rimanevo assiduo al fianco della mia fidanzata, che l'affetto di sorella dimenticava per l'amore di donna. Quanto a Mehara, non si lasciava più vedere da noi.


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Ombre di Lanterna
di Pierangelo Baratono
1909 pagine 254

   





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