Quando colui udì il passo del diavolo alzò il capo e, accarezzandosi la lunga barba bianca, sorrise gentilmente. Poi, tornò a lavorare intorno alla chiave.
Tutto ciò turbava il demonio terribilmente. Ma già le mura dell'inferno si drizzavano all'orizzonte e le sue bronzee porte, ermeticamente chiuse, rilucevano come scudi d'oro sotto i raggi del sole. Il diavolo scosse il capo e proseguì il cammino, fischiettando. Ma che è? Un'illusione dei sensi? Come a ondate gli perviene al naso un certo profumo, che si giurerebbe d'incenso, e gli suona intorno alle orecchie un'eco monotona e lamentosa, come di gente che canti le litanie. Il diavolo affretta il passo. L'odore si fa più distinto, le voci si rafforzano, il canto si spiega chiaro: è veramente un canto di chiesa, intonato da voci maschili.
Il diavolo, ora, corre per la via polverosa. Giunge al portone, batte. Il frastuono interno di quella nenia copre il rumore dei colpi. È un'ossessione, un'espressione spaventosa di sincerità di mille anime in pena, inneggianti al Creatore. Il diavolo batte di nuovo. Infine, un diavoletto viene ad aprirgli. Un diavoletto? Ma chè! È questo l'antico portinaio, il maligno ministro del suo sovrano? Ohibò! A malapena qualche tratto dei lineamenti ricorda l'antica fisonomia. Su tutta la persona, sul viso, nell'espressione degli occhi si è diffusa come una nebbia di untuosità e di sacrestia.
Il diavolo non resiste, gli dà uno spintone. Quello casca. Perdio, ha la chierica! Prosegue, precipitando il passo.
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Creatore
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