La città era settentrionale; ma il maestro, a quanto m'avevan riferito, era il più puro tipo di meridionale in genere e di napoletano in specie. La prima era sciocca, pretensiosa, vuota d'anima e di movimento; il secondo, invece, possedeva molto spirito, bontà ed altri ottimi requisiti. Tuttavia la città e il maestro pareva andassero d'accordo. Si sarebbe giurato, da lontano, che lì sotto giuocasse un po' di magìa; da vicino, sempre secondo i discorsi che m'avevan tenuti, si spiegava facilmente il fenomeno. Don Antonio aveva conquistata la benevolenza dei suoi compaesani d'occasione a forza di tatto, di prudenza e, diciamolo pure, d'originalità. Non dava ombra a nessuno, non parlava male neanche delle mosche, non si urtava contro alcuna di quelle forze latenti e spesso ignorate, che si sprigionano al minimo contatto brutale dal temperamento generale, astioso e diffidente, dei provinciali. Perciò, s'era conquistata la popolarità nel senso più elevato della parola.
Questo ritratto, messo su con l'unione di cento informazioni particolari, mi aveva posto in curiosità di conoscere personalmente l'originale. Perciò, sebbene fossi molto restìo a subire le conversazioni agro-dolci di un salotto ed a prendere parte ai così detti trattenimenti familiari, quella sera mi recai di buon animo al ricevimento della signora Guicci.
Giunsi un po' presto e dovetti sorbirmi, come antipasto, l'audizione di tre o quattro notturni e di altrettante barcarole, che una signorina, armata di buona volontà, pestava come invasata sopra un rumoreggiante pianoforte.
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Antonio Guicci
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