Lo vidi sedersi tranquillamente e far scorrere le dita sulla tastiera, mentre il suo faccione s'alzava verso il soffitto, il suo corpo si dondolava ritmicamente e gli occhi scorrevano per la sala quasi volessero leggere l'impressione dei suoni su quei visi attenti. Suonava molto bene, con animo, un po' lentamente, velando con una leggera nube di melanconia i brani musicali più gai.
Nell'uscire dal salotto mi prese per un braccio e mi chiese:
- Vogliamo far due passi insieme?
Da quella notte una viva corrente di simpatia si stabilì fra noi due.
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Benchè vivessi, ormai, in molta famigliarità col maestro Pèpere, qualche volta lo trovavo stranamente ostile verso di me. Appunto nei momenti di maggiore abbandono egli soleva staccarsi bruscamente dal mio braccio e, dopo avermi guardato con un'espressione quasi di rabbia, allontanarsi frettoloso con un breve cenno di saluto. Sapevo ch'era un po' superstizioso ed avevo osservato che non si toglieva mai dalla catena dell'orologio un grosso corno d'avorio, che spiccava come una virgola sull'ampio panciotto. Una volta gli chiesi all'improvviso:
- Maestro, avete paura ch'io vi metta il malocchio?
Diede in uno scossone e spalancò gli occhi; poi chinò il viso verso terra, mormorando:
- No, no; perdonatemi!
Lo strinsi di domande e finii con l'ottenere da lui la spiegazione, che cercavo.
- Sentite, mi disse. A voi posso parlare a cuore aperto. Ho paura di diventarvi troppo amico, ve lo confesso senza complimenti.
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Pèpere
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