Quella notte meditai il suicidio. Ma le avrei dato troppo dolore, avrei pesato come un rimorso nella sua esistenza! E vissi. Ma da allora non badai più alle donne. Ed ho cinquant'anni!
Volse gli occhi su di me, che lo ascoltavo attento; poi si alzò, dicendo:
- Vedete! È sempre il malocchio! Non mi posso affezionare!
Diede in un'altra risata, che suonò ancor più tormentosa della prima, e cominciò a camminare. Io lo seguii meccanicamente, con l'animo scosso dalle confessioni, che avevo udite.
Prima di accomiatarsi da me, il maestro mi disse:
- C'è un solo rimedio contro il malocchio, che mi pesa addosso. Me l'ha insegnato una sonnambula; ma fin'ora è andato a vuoto. Bisognerebbe che diventassi jettatore a mia volta e che producessi qualche danno a quelli, che mi sono affezionati. Ma non c'è mezzo! Ho sempre visto gli altri felici e mi son sempre trovato disgraziato lo stesso. È il destino!
Sorrise e mi strinse la mano.
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Un giorno il maestro Pèpere m'invitò a pranzare con lui alla "mensa". La mensa era una specie di pensione, dovuta all'iniziativa del mio amico, che aveva raccolto intorno a sè una diecina di giovanotti più ricchi di speranze che di denaro. Provai un'impressione nuova e gradevole a quel lungo tavolo, intorno al quale sedevano i tipi più disparati. Ricordo un tenente contabile, che raccontava freddamente le avventure amorose più inverosimili e più in contrasto con la sua faccia tranquilla di brav'uomo. C'era anche un professorino di francese con un visetto ingenuo e colorito, sperso in una barba a punta: era quello che mangiava più di tutti, benchè fosse il più piccolo.
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Pèpere
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