Durante il pranzo era un diluviare di frizzi, di satire, di chiacchiere, interrotte di quando in quando dalle risate rumorose del maestro che, a capotavola, sedeva come un re sul suo trono.
Tornai parecchie volte in quella casa. Mi divertivano, sopra tutto, i sospiri del professorino innanzi alle porzioni troppo limitate e le rabbie di don Antonio, che ogni tanto, per non perdere l'abitudine, dava in una sfuriata contro la padrona. Costei era una vecchietta tutta grinze e nervi, con due occhi azzurri e irrequieti, quasi soffocati nell'invasione di rughe, che le distruggeva i lineamenti. L'aiutava a servire i pensionanti una figlia, ragazza sui quattordici anni, dai capelli rossi, dalle carni fresche e rosee e dai dentini bianchi e fitti, che si mostravano spesso nella risata. Pareva un bel frutto maturo, nel quale si sarebbe dato volentieri un morso come in una pesca vellutata. Mi accorsi subito che il maestro Pèpere la sorvegliava gelosamente, e glielo dissi. Si pose a ridere e mi rispose:
- Sapete? La tengo come una figlia. Forse un giorno l'adotterò, poichè in quella casa so che si trova male. Sgridate e lavoro, null'altro!
A dire il vero era lui il primo a sgridarla ed a tuonarle dietro, ad ogni minimo sbaglio, con un vocione da orco il suo epiteto favorito: Salame!
Lì dentro, anzi, tutti la chiamavano con quel nome, provocando in lei un'allegria di fanciulla sana, che le faceva aprire le labbra carnose e mostrare l'avorio dei denti.
- Attento, don Antonio!, dissi un giorno al maestro.
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