Intanto la fanciulla, rossa in viso e sudata, s'affaccendava intorno ai pensionanti, schermendosi come meglio poteva dai loro complimenti e dalle loro carezze affettuose. La padrona di casa, per chiudere la serata, offrì il caffè sul terrazzo. Il maestro Pèpere s'affrettò a segregarsi in un angolo di questo, tenendo sulle ginocchia la sua nuova figliuola, che con i capelli scomposti e svolazzanti alla brezza notturna e con gli occhi luccicanti pareva la raffigurazione della felicità.
Pochi giorni dopo trovai per la strada don Antonio, pallido ed abbattuto. Camminava curvo, scuotendo la testa e borbottando.
- Che v'è successo, maestro?, gli chiesi.
- Sapete? La sonnambula aveva ragione. Son guarito dal mio malocchio, diventando un jettatore.
- Perchè? Perchè?
Si passò il fazzoletto sulla fronte, poi mormorò:
- La mia figliuola adottiva è moribonda.
Provai come un urto nel cuore e balbettai:
- Che dite? Cos'è accaduto?
- Ha presa una polmonite doppia e va struggendosi come cera.
Si allontanò rapidamente, senza salutarmi, con la testa china verso terra e le spalle piegate.
La sera andai alla pensione e trovai la padrona in lagrime. Mi fece entrare in una cameretta, ove scorsi sopra un lettino il corpo della fanciulla, bianco e immobile.
- È morta?, urlai.
Al mio grido, dall'ombra sorse il viso del maestro, livido e tremolante.
- Vedete?, suonò la sua voce: non ho più il malocchio e devo ringraziare questa creaturina.
- Non dite così, non dite così, maestro!
- Che importa!, mormorò. Purch'io sia felice!
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Pèpere Antonio
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