Tutti rimasero muti e paralizzati, quasi sospesi nell'attesa di qualche avvenimento impreveduto. La bizzarra composizione del maestro Pèpere si diffondeva per l'aria del salotto e scendeva nell'anima come l'eco di un pianto lontano e inconsolabile, come il gorgheggio di un uccello prigioniero che veda, di tra i ferri della gabbia, volar alto nel cielo i suoi simili. Qualche signora piangeva; gli uomini chinavano pensosi la testa.
A un tratto vidi il maestro drizzarsi in piedi e rovesciare il capo all'indietro, sghignazzando. La signora Guicci ed io fummo i primi a corrergli vicini. Ma egli ci respinse con un gesto rude e urlò:
- Indietro! Sono un jettatore!
Poi scoppiò in un'altra risata.
Prima ch'io potessi sostenerlo, lo scorsi barcollare e rovesciare pesantemente sul pavimento. I suoi occhi ebbero ancora un lampo di luce, le sue labbra si aprirono ancora a un sorriso; poi quelli si spalancarono, divennero opachi e fissi, queste sbiancarono come se tutto il sangue del buon maestro Pèpere si fosse condensato nel suo cuore, a spezzarlo.
Re Torbido
Egli era giunto da molto tempo nella città della nebbia; ma negli occhi serbava ancora la nostalgia di un lontano paese più soleggiato. Nessuno conosceva il suo vero nome; i vagabondi e gli straccioni, che vedevano passare quel bellissimo corpo di atleta, come un'ombra di altri tempi, sotto la luce smorta dei fanali, si soffermavano meravigliandosi, tentando di indovinarne il mistero.
Ma egli camminava, senza guardarsi d'attorno, con un passo lento, muovendo mollemente i rotondi fianchi di figlio del sole.
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Pèpere Guicci Pèpere Torbido
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