Il suo volto era nascosto sotto la lunga e morbida barba nera; la pelle era bianca e fine: e fini erano le mani, quasi di donna, affilate e nervose. Sulle spalle ricadevano i capelli in ciocche diffuse come una nube, e si arruffavano su l'ampia fronte quasi fino a coprire gli occhi torbidi e inquieti.
Era un magnifico modello di vagabondo, col suo robusto corpo mal protetto da un vecchio abito stinto di marinaio. Rideva qualche volta, mostrando due file di denti bianchi e sani. Chi sentiva la sua risata, provava un brivido di raccapriccio, come se nella notte gli fosse pervenuta all'orecchio la sghignazzata lontana di una jena. Quando egli cantava, nelle tenebre, i borghesi rincasanti e gli straccioni si arrestavano avvinti dal senso indefinibile di accoramento, che si rivelava nelle sonorità di quella gola, ove a volte pareva piangesse un bambino, a volte imprecasse un dannato.
La mattina il misterioso vagabondo piegava i forti omeri e le braccia muscolose, aiutando, sul mercato, questo o quel rivenditore a posar ceste, a fermare travi o ad inchiodar tende. Poi, terminato il lavoro, si accucciava come una bestia selvaggia in qualche solitario carro o in un angolo di cortile, sino alla notte. Al primo calare delle tenebre, egli usciva dal suo nascondiglio, con lo sguardo basso e le mani nelle tasche dei calzoni, a passeggiare indolente fra mezzo al brulichio delle contrade e nella spessa umidità della nebbia. Di quando in quando il suo passo si accelerava, le mani si alzavano ad accennare gesti di minaccia, le labbra lasciavano sfuggire brevi gridi e parole smozzate.
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