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      Qual notturno beffardo, quale straccione avvezzo allo scherno della miseria lo chiamò, per il primo, Re Torbido? Forse a un poeta delle tenebre, a un nottambulo artista venne spontaneo alle labbra un tal nome. Allorchè per la prima volta egli sentì suonare all'orecchio quelle due parole, sorrise, annuendo con un gesto breve e con un rapido volger d'occhi. Re Torbido!
      Quale colpa aveva macchiata la vita di quell'uomo, sì da costringerlo ad abbandonare il proprio paese soleggiato per rifugiarsi nella nebbia e nella solitudine? Nessun vagabondo osava parlare, se non a bassa voce e in crocchio di amici, di quel passato, che molti intravedevano tenebroso. Sovra tutti, anche da lontano, pesava l'immagine di quel volto rabbuiato e di quelle mani fini, ma piene di forza.
     
     
     *

      * *
     
      Un giorno, Re Torbido trovò finalmente un amico. Lo vide sulla porta di una bottega di erbivendolo e lo riconobbe subito
      - Sei tu, Arviò? Che fai?
      Quello si volse impetuoso verso di lui; poi si gettò con un "oh!" di meraviglia fra le sue braccia.
      - È tuo?, chiese ancora il vagabondo, accennando al piccolo negozio.
      - Sì, proprio mio.
      Un ometto magro e nervoso, quell'Arviò, con gli occhi sporgenti come bulbi e il naso a punta, rubizzo.
      - Sai, gli disse Re Torbido smozzicando le sillabe; mi son dato anch'io al buono.
      - Oh, e come?
      - Lavoro.
      Quando l'altro seppe del soprannome, appiccicato all'amico, sghignazzò:
      - Buono, buono, e bene appropriato! Vieni dentro. Berremo insieme. E ti farò conoscere mia moglie.


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Ombre di Lanterna
di Pierangelo Baratono
1909 pagine 254

   





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