Grazietta verrà via questa notte stessa! Non c'è più niente da dire, su questo! E tu vieni a piagnucolarmi, a minacciare perfino! Mi butti in faccia il passato! Porto una catena, forse? E con te! Ripetilo! Con te! Con te! La spezzerò io, la catena!
Si era drizzato, terribile di collera, pronto a slanciarsi.
Ma Arviò, con mezzo corpo abbandonato sul tavolo, piangeva dirottamente.
Re Torbido lo guardò un istante, poi sedette di nuovo. I suoi lineamenti si erano ricomposti, le sue labbra avevano, adesso, una smorfia di disprezzo.
Arviò, intanto, singhiozzava:
- La ho amata tanto! E la amo ancora! Mi ha fatto diventare onesto, mi ha tolto dalla mia miseria! E adesso! E domani? Che farò, solo, abbandonato? Mi strapperò le carni a brani, ridiventerò un ladro, un omicida! Oh, se tu sapessi, se tu sapessi! Perdonami! Ti ho insultato. Ma non potevo, non posso tollerare l'idea di rimanere privo di lei! Bisognerebbe uccidermi, prima!
Re Torbido ascoltava, col volto pallidissimo. Il suo sguardo vagava inconsciamente per quella povera stanza, su quella pace, rotta violentemente dalla disperazione di Arviò. A un tratto, scosse il capo e si alzò.
L'amico si era accasciato sopra la tavola; non aveva più la forza di piangere, ma mormorava ancora con un lungo lamento di bambino:
- Senti, prenditi tutto il resto, la bottega, i denari. Ma lasciami Grazietta! Non mi vuol più, è vero; ma io la voglio ancora. La terrò come prima, anzi meglio di prima. Farà di me quello che vorrà, purchè rimanga!
Il vagabondo guardò ancora una volta l'amico, poi la stanza.
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