- Aprimi, disse.
L'altro alzò pauroso il viso bagnato di lagrime e ancora scosso dalle convulsioni del singhiozzo.
- Dove vai?, chiese titubando.
- Fuori, all'aperto!
- Tornerai qui?
- Non lo so. Apri!
Arviò si rimise in piedi e, barcollando, si avviò all'uscio, lo aprì.
Il vagabondo, senza volger gli occhi indietro, passò la soglia, poi rinchiuse violentemente alle sue spalle la porta. Rimase ancora un poco, immobile, con la fronte scottante appoggiata sull'umidità del muro. A un tratto si mosse precipitoso, scomparve nella densa nebbia e nella notte.
Pietro Martino
Gioia e festa, oggi, nel palazzo marmoreo dei Cesari. Lungo gli ampi porticati, adorni di ghirlande, per le sale ove le armature luccicano sulle pareti sotto gli sguardi immobili dei guerrieri, che dalle antiche cornici contemplano le gloriose spoglie, nel gigantesco salone rischiarato da candelabri torcenti i bronzei steli sotto il peso di mille candele di cera nera, ovunque passano cantando schiere di fiorenti fanciulle. Hanno indossati gli abiti più appariscenti, tuniche intessute d'oro e gonne di fine trama, han posato sui piccoli seminudi seni preziose collane di perle e ora folleggiano canterellando nella gioconda attesa, che foggia le labbra alla risata squillante e fa scorrere per le carni un brivido voluttuoso.
Nel salone regale è seduto il vecchio monarca, lo sguardo fisso, l'animo un po' tormentato dall'ansia di quel caro ritorno. Per tre anni il figlio ben amato lasciò un vuoto nel grande palazzo, per tre anni, atteso di giorno in giorno, sbizzarrì la giovanile fantasia in contrade lontane.
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Martino Cesari
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