C'era del salame, lì dentro, ed anche qualche panino. Ma Ciccillo non aveva voglia di mangiare. Era diventato pallido come un morto e sentiva le dita tremargli sulla mazzetta. Nella carta unta e spiegazzata, che involgeva quei commestibili, aveva riconosciuto il suo manoscritto.
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Cedendo alle preghiere degli amici il poeta Ciccillo si decise, infine, a far valere i propri diritti. Comprò un foglio di carta bollata e con la sua migliore calligrafia scrisse al Sindaco della città. Con la modestia che lo distingueva in ogni sua azione rimetteva il proprio destino nelle mani della prima autorità civile (la morale, naturalmente, era lui); padrona essa di offrirgli un posto degno del patrio poeta.
Aspettò un mese, senza ottenere una risposta. Gli amici, intanto, lo punzecchiavano.
- Caro poeta, gli dicevano; in fatto d'illustrazioni non c'è che quella Italiana, che abbia ottenuta fortuna in patria.
- Ingrata terra, mormorava Ciccillo strabuzzando gli occhietti.
Ci pianse sopra un poco; poi scelse la sua vendetta. Un giorno i pacifici provinciali videro in un angolo dei portici un omino curvo sovra una scatola da lustrascarpe, intento a rendere lucidi due enormi stivali. Ciccillo aveva trovato il suo mestiere, s'era fatto lustrino.
- È una protesta, diceva a quanti l'interrogavano. Il Municipio non ha voluto dare un pane al poeta, e il poeta gli ha dimostrato che sa guadagnarselo senza aiuto.
Un amico mormorò filosoficamente:
- S'io fossi sindaco ti darei non solo del pane, ma del.
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