Un vento umido mi batteva in viso e infuriava tra i miei capelli. La mia voce, ripercossa dalle muraglie granitiche, risuonava sinistra come un'eco di qualche inferno sconosciuto. E laggiù, in fondo, sempre alla stessa distanza, un brillare di lucciola, una scintilla quasi impercettibile, unica guida in quella notte eterna.
Voi sorridete? Ho provato, sì, ho provato con questa mia anima turbata, con queste membra che la febbre ha rese deboli e tremanti; ho sentito pesare su di me l'incubo spaventoso.
Un incubo? Che il cielo abbia pietà di me! E se fosse la verità? Se questa mia sofferenza, questo continuo martirio, dovessero non aver mai più tregua? Non toccare nessuna lampada d'oro, non raggiungere nessuna fiamma, non scaldare mai, mai il proprio corpo al raggio fecondo di un sole! È un incubo, vi dico; null'altro che un sogno!
Ma se fosse la verità? Non ho già provate le vertigini delle tenebre, non mi son visto attorniato da ombre gigantesche, che chiudevano la mia anima come in una nebbia? Oh, ben conosco le oscurità della vita e della notte, ben so esplorare gli abissi dell'infinito! Occorre aver pianto come me, essersi solcate le carni con le unghie, lacerata la gola con le urla, come ho fatto io per lunghissimi giorni; aver provata l'impressione di un corpo morto fra mezzo a uno stagnare d'acqua, per poter dire: conosco le tenebre e le insidie della notte!
Voi mi credete un pazzo o una canaglia. Siete venuto in questo carcere a interrompere la mia solitudine e a frugare nella mia angoscia.
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