Affaticai questo cervello fino alla pazzia, mi sforzai di convincermi che ciò era semplice allucinazione dei sensi malati. Invano! Quell'ombra non mi abbandonava più, m'inseguiva fra mezzo al tumulto della vita quotidiana, mi sorprendeva, mi afferrava, mi soffocava nel sogno come nell'orgia, nella quieta dolcezza dell'idillio come nell'impeto della creazione. Ero poeta; amavo raccontare a me stesso le immaginazioni della mia mente sempre avida di bellezza. Quell'ombra mi rubò ogni volontà, sottomise ogni desiderio, invertì ogni mio sentimento, distrusse inesorabilmente il delicato meccanismo, che mi aveva fatto devoto dell'Arte. Occorre ch'io vi narri lo strazio continuo, che sconvolgeva il mio spirito? Occorre che segua, ora per ora, la tortura della mia anima? Questa mia confessione si nutre di due sole parole: dolore e tenebre. Ho sofferto tanto, da trovarmi vecchio e stanco in brevissimo volger di tempo. Una rovina, capite?, una rovina, ch'io dovevo contemplare ad ogni ora, consumandomi in un rimpianto inutile e in un più inutile sforzo. Ed ecco la causa d'ogni mio atto, ecco l'origine di quello smarrimento continuo, di quella malinconia dolorosa, di quell'imperversare di nervosità e di quel susseguirsi di accasciamenti. Dovevo sembrare un pazzo, e non lo ero!
A quell'epoca mi trovai senza impiego, spostato, immerso nella miseria. Avevo amici, che mi stimavano, conoscenti che mi seguivano con simpatia nei miei tentativi di poeta. Qualche scrittore si era interessato per me; ma a poco a poco me li resi tutti ostili.
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Arte
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