Cominciai a interrogarmi. Mi rispose Bob, dapprima umilmente, poi man mano crescendo in alterigia, finchè prese il tono del comando e mi impose di non far più osservazioni e di non tormentarlo più a lungo con le mie sciocche domande. Tacqui per riguardo a lui, che, in fondo, ero io. Da quella notte mi trovai in preda all'incubo dell'altra esistenza, che si faceva bella a mie spese d'ogni mia azione. Non ho mai saputo il nome del mio misterioso inquilino; ma nella famigliarità mi sono abituato a chiamarlo Bob e credo ch'egli sia rimasto soddisfatto di un tal nomignolo. Una delle bizzarrie del mio noioso compagno d'esistenza consiste nel voler viaggiare di continuo. Per non dare luogo a disgusti in famiglia lo accontento nel limite delle mie forze, quantunque sappia che le mie lunghe gambe si adattano malvolentieri a un tale faticoso servizio. Noi compiamo le nostre escursioni quasi sempre nel cuore della notte.
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Una volta giungemmo a Berlino. La città riposava con le sue lunghe vie sonnolenti e le case nere rischiarate dalla vivida luce dell'elettricità o, nei quartieri più modesti, da quella vacillante e gravosa del gas. Bob voleva continuare il viaggio, spingersi, chi sa, sino allo spettrale castello di Elsineur. Ma il mio stomaco oppose un reciso rifiuto a tale pretesa e si trincerò dignitosamente, nuovo popolo Romano innanzi a un Menenio Agrippa, nel suo imperioso bisogno di rinfreschi. Quella volta, adoperando i mezzi più persuasivi, riuscii a vincere l'ostinazione del mio testardo compagno.
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