Era passata la mezzanotte; ma, in fondo a una strada appartata e silenziosa, ammiccava ancora nella semi-oscurità verso di noi la fiammella di un fanale di taverna. Ci dirigemmo verso il piccolo faro, passammo una porta antica, stretta e bassa, scendemmo una scala umida e infine ci trovammo nel mezzo di un salone. Il luogo, per dire il vero, era abbastanza grazioso. Sulle pareti spiccava una tappezzeria a fiori rossi e azzurri, intrecciati con un certo gusto, e per tutta la lunghezza della stanza riposavano due file di soffici divani, in quell'ora deserti, innanzi ai quali eran schierati i tavoli di marmo nero. Emisi un sospiro di sollievo, mentre sentivo dentro di me Bob maledire la mia intemperanza. Mi posi a sedere sovra uno di quei divani, soddisfatto nel trovarmi unico avventore in quell'ora notturna e padrone del campo. Bob brontolava sempre; però, quattro boccali di birra e cinque pipe consumate sino al fondo lo ridussero alla calma. Il fumo, intorno a me, cioè a noi, aveva costruito una specie di tendone fluttuante, ma denso, a traverso il quale a mala pena spioveva un riflesso di luce. Mi sentivo come in casa mia, attorniato da quelle mobili pareti create dalla forza dei miei polmoni e del tabacco.
Quel maledetto Bob s'era addormentato. Mi venne un'idea diabolica. Pensai di abbandonare il dormiente sul divano della taverna e di fuggire in paesi lontani onde fargli perdere le mie tracce per sempre. L'impresa richiedeva prudenza; il minimo movimento un po' brusco avrebbe potuto mettere il nemico sull'avviso e provocare in lui una collera spaventosa.
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Bob Bob Bob
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