Io ti perdonai, poichč comprendevo che in te lottavano dolorosamente l'opinione pubblica e l'affetto, che provavi per un essere privo di aiuti, quale io ero. Mi dicesti che l'arte č un vano trastullo a confronto delle altre mčte dell'uomo, e ch'essa non dą in alcun modo il diritto di ritenersi superiore al mondo a colui, che ne č sacerdote.
Sento ancora le tue parole invadere, come vampa di fuoco, il mio cranio e chiuderlo in una morsa di onta e di angoscia. Allora io nulla dissi, poichč nulla potevo dire. Un gran vuoto si era prodotto nel mio cervello, ove le idee non venivano pił che come vane ombre, snebbiate e distrutte dall'emozione. E questo mio difetto morale, questa mancanza assoluta del mio "io" nei momenti pił critici della vita, mi perse, forse, ai tuoi occhi.
Poi, pił tardi, volesti riannodare l'antica amicizia, mostrandomi una pietą, che si elargisce soltanto ai malati ed č pił penosa della stessa ingiuria.
Perchč far crollare, per una cieca fiducia, nelle parole di estranei, un edificio elevato con lunghi sforzi? Perchč distruggere un'oasi, ove si dissetava il mio sguardo? Non pensavi, non temevi di rompere l'incanto, che tutto mi circondava? Io vivevo in una sfera elevata, immerso in una gioia senza confronti; le tue accuse mi hanno strappato ruvidamente dal sogno, costringendomi a ricordare chi fossi veramente tra gli uomini. Le ingiurie, le condanne degli altri mi avevan fatto sorridere; ma quando vidi, quando intesi che il compagno delle mie pene, delle mie gioie, di tutti i miei sentimenti e pensieri rinnegava in me una credenza fin' allora custodita gelosamente, bestemmiai la mia estasi, rinnegai la mia fede, e, abbandonati al pił presto codesti luoghi, divenuti intollerabili, mi rifugiai in un paese, ove mi chiamava il ricordo della fanciullezza.
| |
|