Hanno segni bizzarri, che li fanno riconoscere tra loro, come fossero affiliati ad una vasta setta; ma, a differenza dei poeti nottambuli o gufi che dir si vogliano e dei vagabondi poveri, difficilmente si uniscono in gruppo: la solitudine e la pace li attirano; null'altro desiderano, se non di potersi abbandonare liberamente ai propri pensieri. Selvaggi e misantropi, pur talvolta si avventurano nei ritrovi notturni, compiacenti protettori di ogni spostato che, tra il fumo e lo schiamazzo, può inseguire e raggiungere un breve momento di felicità al riparo dagli sguardi sprezzanti della società incasellata.
Fu appunto in uno di quei ritrovi ch'io vidi entrare, una notte, un figlio delle tenebre. Il suo primo gesto, nel porre piede nella taverna, fu di disgusto, il suo primo sguardo lampeggiò d'odio. Pur si fece innanzi, un po' goffamente, e venne a sedere, a capo chino, al mio fianco. Lo osservai a lungo, prima di rivolgergli la parola. Attraverso il fitto nebbione di fumo, che ci avvolgeva, il suo volto sembrava quello di un vecchio, benchè fossero neri i capelli e la breve barba a punta, che gli copriva il mento. Aveva la fronte e le guance solcate di rughe e negli occhi qualcosa di torbido e minaccioso, che ispirava curiosità e timore ad un tempo. A poco a poco il mio vicino si era rinfrancato ed aveva cominciato a volgere intorno lo sguardo su quella strana riunione di bevitori. Mi accorsi che le sue mani tremavano e che il suo corpo aveva brividi come di febbre.
- Vi sentite male?, chiesi dolcemente.
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