A volte, i sogni mi si ripresentano allo stato di veglia e mi costringono a riprovare lo stesso spasimo, che avean provocato in me nella notte. Ne ricordo uno, che per poco non mi riuscì mortale. Nel giorno era uscito il mio primo volume di versi, nel quale riponevo ogni speranza per l'avvenire. L'emozione dell'attesa, tormentandomi con un po' di febbre, mi fece passare la notte insonne. Soltanto verso il mattino potei chiuder gli occhi. Quasi subito mi vidi per le strade della città, circondato da una folla, che mi guardava sogghignando. Distinsi il volto di qualche amico, contratto in una espressione sprezzante. Camminavo, camminavo sempre, perseguitato dalle risate, sentendo intorno a me risuonare i dileggi più orribili. Un'ansia e un'angoscia spaventosa mi costringevano a cercare la solitudine; ma sì, dappertutto c'erano uomini, che mi fissavano segnandomi a dito come un oggetto di pietà. Anche i bambini gridavano: È lui, è lui!, e mi correvano intorno, schiamazzando e gettandomi addosso pugni di terra. A un tratto, a uno svolto di strada, mi si drizzò innanzi l'alta figura di mio padre. Era pallido e teneva in mano il mio volume. Appena mi vide, cominciò a urlare: Vattene, disgraziato; è sciocco, è sciocco!; e mi scagliò il libro in pieno viso. Udii ancora una risata fragorosa e un grido generale: È sciocco, è sciocco! E mi svegliai. Avevo il volto bagnato di lagrime e tremavo per tutte le membra. L'impressione del sogno era rimasta nitida nel mio pensiero. Mi affrettai a vestirmi e ad uscire di casa, sperando di sfuggire all'incubo.
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Vattene
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