Ma appena mi trovai per istrada, fui preso da uno scoramento infinito e da una pazza angoscia. Mi sembrava che tutti mi guardassero commiserandomi; credevo di udire a ogni passo qualche risata. Mi avviai per una strada un po' abbandonata. Ed ecco venirmi incontro, dal fondo di essa, mio padre con un libro fra le mani. Alzò il braccio verso di me. In quel momento non seppi più distinguere la realtà dal sogno; sentii, ad un punto, tutte le torture della notte riaffacciarmisi al pensiero e, cacciato un urlo, volsi indietro correndo. Soltanto un'impressione di gelo pel corpo mi svegliò dall'incubo. Mi trovavo nel fiume, in cui mi ero gettato inconsciamente in quell'orribile istante di disperazione. Per fortuna qualcuno venne prontamente a salvarmi. Ero tornato in me; ma rimaneva nel mio cervello lo spasimo della morte, dalla quale ero scampato per caso, ed a cui mi aveva spinto l'inesorabile volontà di un sogno.
Giorgio Miserere tacque. Respirava affannosamente, ed aveva gli occhi dilatati nell'angoscia del ricordo. Io lo guardavo con spavento; ormai, potevo spiegarmi le crisi di melanconia del mio amico.
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Un giorno, il poeta mi abbandonò per recarsi in villa, da una vecchia zia. Egli sperava, assoggettandosi per qualche mese alla vita solitaria e salubre della campagna, di poter vincere per sempre il languore nervoso. Non ebbi più sue notizie; ma, conoscendo la sua antipatia per la corrispondenza epistolare, perdonavo facilmente una mancanza, che secondo me non procedeva da poca amicizia, ma piuttosto da debolezza di volontà.
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Miserere
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