Una sera i due giovani, immobilizzati accanto al fuoco dalla rigidezza del clima invernale, discorrevano a bassa voce. La pace dell'ampia sala e l'incerto chiarore di una lampada a olio li disponevano entrambi alla melanconia. A un tratto Anna, fissando i suoi sguardi profondi nel volto del poeta, formulò una strana domanda:
- Mi perdoni, signor Giorgio. Io credo che Ella porti in sè una gran sofferenza! Perchè?
Che accadde in quel momento nell'anima di Miserere? Quale impulso lo costrinse a svelare il proprio pensiero ad una creatura, fino a quell'istante antipatica? Sentì un bisogno di confidarsi, di riparare con la propria debolezza sotto la protezione di quell'energia; perciò, quasi inconsciamente, rispose:
- È vero. Non posso nasconderlo. Io l'ammiro, Anna. Ella sente palpitare intorno a sè tutte le forze della natura e ne fa tesoro nella sua anima, le padroneggia come una fata benefica. Nulla l'urta, nulla la turba nella sua libera tranquillità; anzi, Ella vede il male ed il bene con la stessa calma sicura, e ne sorride. Ma qual è il segreto, che la rende così forte? Io vorrei imitarla, e non posso. Sento di giorno in giorno crescere in me la noia, la pesantezza della mia esistenza quasi soffocata in mezzo alle altre. A volte penso che per vincere, per gioire, occorre essere in due. Ed io son solo, e mi scoraggio, e tremo. Che cosa ho chiesto, infine, alla vita? Un po' di gioia. Ne ero indegno? Forsechè in me non esiste, come negli altri uomini, la facoltà di godere e di amare?
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Anna Giorgio Miserere Anna
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