Ormai, in preda alle mie antiche ossessioni, vagavo come trasognato durante il giorno, sfuggendo la presenza di mia moglie, quantunque mi fosse cara più della stessa mia anima. Avevo paura, nè sapevo ancora di che! Ogni mattina mi svegliavo in un bagno di sudor freddo e in preda a un tremito febbrile. Anna tentava ogni mezzo per racquetarmi, cercando invano di penetrare il segreto del mio malessere. Più volte fui sul punto di confessarle ogni cosa; ma mi trattenne sempre la sciocca paura di sembrarle ancor debole. Forse, il destino non mi voleva risparmiare! Una notte, il sogno sì accentuò. In esso distinguevo sempre il corpo di Anna e la ferita profonda alla gola. Ma la voce misteriosa era divenuta più terribile e urlava: Uccidi! Uccidi! Guarda rosso! Da allora non potei più fissare gli occhi sopra la mia diletta senza tremare. Sapevo, dunque, di che dovevo temere; sapevo che se il sogno avesse acquistata l'intensità della vita mi avrebbe costretto a obbedirgli. Fu un martirio per giorni e giorni, durante i quali dovevo sorvegliare me stesso in ogni gesto, in ogni pensiero. Ritraevo gli sguardi con raccapriccio dalla gola bianca e morbida di mia moglie; eppure, contro ogni mia volontà, non tardavo a riportarvi sopra la mia attenzione morbosa, spiando con una specie di voluttà i minimi fremiti di quella pelle delicata. I coltelli da tavola, i temperini mi attraevano e mi incutevano terrore ad un tempo. Li accarezzavo con la mano, poi li gettavo lungi da me con un gesto disperato.
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Anna Uccidi Anna Uccidi
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