I monarchi mi devono il loro trono, poichè ispiro la devozione nei sudditi; i sacerdoti mi devono il loro culto, poichè propago la fede; le donne mi devono la loro gratitudine, poichè infiammo il cervello dei maschi; gli affaristi mi devono le loro sostanze, poichè spingo l'astuzia a farsi giuoco dell'interesse e la stoltezza a servire l'ipocrisia. I più celebrati figli della gloria sono miei figli, i poeti mi riconoscono per loro signore e mi invocano ad alte grida nelle notti di luna. Io scherzo con la primavera, piango con l'inverno, farnetico con l'autunno e riposo con l'estate. Io sono il principio e la fine, la grande Causa, il male ed il bene, la febbre e il sonno. In poche parole, mi chiamo Follia e ispiro le azioni degli uomini.
- Silenzio, maleducato! gli urlò iroso il vecchio giudice. La tua lingua sacrilega è ben degna d'essere affumicata come quella di un bue!
- Silenzio a te, vecchio bastone da imperatore, mummia incartapecorita, ciarpame da rivendugliolo, grappolo d'uva secca, testa mal verniciata di pipa, magistrato da strapazzo. Il tuo tribunale è finito e comincia il mio. Fai le tue preghiere, vecchio; poiché la ghigliottina non ha tempo di aspettarti. Voglio che il tuo capo, reciso, faccia pompa di sè sovra la più alta torre della città, se pure esistono una torre e una città all'infuori dei nostri cervelli. Orsù, balliamogli attorno una danza macabra, che lo renda più sollecito per la propria esistenza che per le colpe degli altri.
Un urlo generale accolse la proposta bizzarra e una ridda spaventosa cominciò a infuriare nel cortile, fra strida e ululati e bestemmie.
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Causa Follia
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