Il racconto del topo
Da tre mesi subivo l'orribile solitudine della prigione, poichč gli uomini si erano assunto il diritto di costringere la mia anima alla terrorizzante meditazione dell'abbandono e il mio corpo all'umiditą e al cattivo cibo del carcere. La stanza, ch'io occupavo, piuttosto grande, aveva una forma rettangolare; le mura, cementate di fresco, non portavano alcuno di quei segni e di quelle dolorose confessioni che, ciniche o puerili, sono solite adornarle; ma grevi e di un colore bianco sporco uniforme circoscrivevano inesorabilmente il mio sguardo nel loro silenzio di pietra.
Di contro al letto, o meglio al tavolaccio, che serviva di giaciglio notturno, si apriva nel profondo spessore della muraglia una breve finestra, difesa da grosse sbarre, dalla quale i miei occhi stanchi potevano fissare un monotono quadrato di cielo.
Questa era la mia dimora da tre lunghi mesi e questa la mia solitudine, rotta solo due volte al giorno dalla visita di un melanconico secondino dal volto giallo e rugoso e dagli occhi assonnati. Le ore scorrevano nella pił incresciosa monotonia; nč la mia immaginazione, sbattuta dalle ultime vicende della mia vita e dal tetro soggiorno, poteva riempirle se non coi tristi fiori della meditazione e dei ricordi pił dolorosi. Avevo tentato pił volte di ingannare il tempo con ingegnosi mezzi, or seguendo il lento procedere di qualche nuvola pel breve spazio di cielo, concesso alla mia vista, ed ora cercando per la volta della mia stanza e lungo gli angoli qualche solitario ragno, che mi tenesse virtual compagnia.
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