I primi giorni di prigionia sono i pių quieti. Qualcuno spera ancora, altri si abbandonano a un'accasciata indifferenza, che li salva pel momento da una tortura pių atroce. Ma dopo, dopo, quando ogni speranza č svanita, quando le quattro mura del carcere si drizzano innanzi ai loro occhi come un pesante infinito di spasimo, simboli del pių orribile fra i destini e della perversione degli uomini, quanti ho visti in preda alle torture infernali dell'angoscia e della paura. Sembrano scimmioni in gabbia; digrignano i denti, scuotono le sbarre e si consumano e intisichiscono, privi di distrazioni, privi d'aria, privi di donne, in un solitario vaneggiare di ubriachi di terrore. Qualcuno, pių forte, resiste per qualche tempo, tenta di fare un po' di luce nel proprio spirito, di giudicare a sua volta. Ma a poco a poco la monotonia dell'esistenza, l'ossessione della fantasia fanno anche di questi pochi dei deboli strumenti, delle povere vittime della pazzia e della morte. Oh! Quante morti precoci e quanta strage di anime e di corpi in questi umidi soggiorni! Quanti, che la sera innanzi erano ancora viventi, al mattino ho trovati stesi sul loro lettuccio, le mascelle aperte, le labbra coperte di una spuma sanguinolenta. Qualcuno muore meglio, quietamente, con le braccia incrociate sul petto, senza maledire. Ma su tutti i volti cadaverici ho letto la condanna inesorabile della vostra giustizia. Nč le sole morti del corpo ho viste, ma anche quelle, pių spaventose, dell'anima. I prigionieri, talvolta, fanno come i leoni in gabbia; squassano le catene per qualche tempo con furia e passeggiano per la stanza urlando e alzando i pugni a una vana minaccia.
| |
|