Ecco; il guarda-sala ha cominciato a passeggiare in su e in giù per la corsia. La porta chiusa si apre violentemente; un'occhiata interrogativa, una domanda: Per Milano, signori? - poi la porta si chiude di nuovo.
I tre, un momento interrotti nel loro chiacchierio sommesso, riprendono il discorso.
- C'è una gran febbre, a Milano. Mi hanno scritto che qualcuno si prepara. I timorosi cominciano a scuotersi, a radunarsi. Qualcosa succederà.
- Basta, basta. Son chiacchiere. M'importa assai! Faremo di più con l'appoggio dei signori, che con quello dei guasta-mestieri.
- Si, i signori! Attenditi qualcosa! E poi, anche se concedono, dan tutto per commiserazione. Conquistare, bisogna; non aspettare.
- E tu conquista, se ci riesci e se lo fucilate e le carceri ti risparmiano. Che vuoi fare? C'è una muraglia, innanzi a noi: i soldati. Son come noi, ma hanno la disciplina. Non si scherza sotto l'uniforme: o fucilare o essere fucilati.
- Già, e i signori ti danno la fame, per regalo. O morire, dico io, o vincere. Che importa? Dopo le barricate c'è la liberazione, in un modo o in un altro. Purchè si ottenga lo scopo, che importa il modo?
- Siete due bruti, tu con i tuoi signori e tu con le barricate. Appoggiamoci ai preti, invece. Sanno il da farsi, son furbi.
- Ohè, scherzi? Brutto chierico da sacrestia, vorresti leccare gli stivali a chi ti mangia la paga e ti gode la moglie? Ohibò! ohibò! La moglie e la paga le tengo per me.
- Sciocchezze! Han fatto molto per noi, han fondato case, ospizi, ricoveri, officine.
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Per Milano Milano
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