- Papà! papà! vieni presto!
Il macchinista si riscosse. Che pazzo era stato! Aveva rischiato di farsi cogliere dal capo-treno per un volto di bambina. Ce n'erano tante, nel mondo, di quelle creature! Ce n'erano due anche in casa sua, ma pallide, magre, con i capelli sporchi e gli occhi precocemente tristi. Sentì un nodo di pianto fermarglisi in gola; ma riprese la corsa, si arrampicò sulla macchina.
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Il treno, adesso, correva per la campagna, fra mezzo alle tenebre. I due compagni ogni tanto interrompevano il lavoro e si piegavano nell'ombra, a bere dal bariletto. Sentivano entrambi del fuoco nel cervello. Il macchinista provava l'impressione d'essere egli stesso la macchina: nel cranio gli si agitavano fiamme e bagliori gli attraversavano gli occhi. Una bestemmia del compagno lo tolse all'incubo.
- Ah, quelle canaglie, che dormono, urlava il fuochista, mentre noi lavoriamo per loro!
Dormivano, certo, quei signori. E domani si sarebbero svegliati e sarebbero scesi dal treno senza volgere neanche uno sguardo a chi aveva protetti i loro sonni e guidati i loro corpi. No, no; era intollerabile! Il macchinista senti un bisogno di sfogarsi, di vendicarsi, di cacciar fuori, in qualche modo, la smania, che gli rodeva l'anima. Si piegò verso l'altro e gli urlò:
- Di! Se facessimo succedere uno scontro?
Il fuochista non comprese, dapprima; ad un tratto, si fece tetro, poi scoppiò in una risata. Un'idea gli attraversò il cervello; la esternò:
- Ma noi, noi morremo pei primi!
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