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      Egli non era felice; e come poteva esserlo nel costringimento assoluto della sua generosa individualità? Ripeteva spesso le parole, che un ispettore gli aveva lanciate in pieno viso come una minaccia: "Qui non si ragiona, si obbedisce!". Perdio, ma non comprendevano, quei signori, che anch'egli possedeva un'anima, un pensiero suo, che poteva sentire e ragionare come e più di loro, che, infine, non era una macchina, non era un automa nelle loro scaltre mani? Dicendo questo il mio amico piangeva. Ripeteva sempre che presto o tardi lo avrebbero cacciato dal paese della polvere, come chiamava con malinconica ironia l'ufficio; lo avrebbero ridotto alla più orribile miseria. Un giorno mi confessò che s'era avventato contro un superiore, urlandogli sotto il muso arrogante: "Sono anch'io un uomo, un uomo, capite?".
      Dei compagni d'ufficio non poteva lamentarsi. Aveva un capo-sezione, ch'era un tesoro un cuore d'oro e una chiara intelligenza. Me lo descriveva spesso con una specie di compiacenza. Un corpo robusto, diceva, e un animo energico sotto i lineamenti un po' femminei del volto, rischiarato da due occhi limpidi e azzurri pieni di bontà e di penetrazione. "Il giorno in cui, per un qualsiasi motivo, me lo toglieranno, io sarò un uomo perso", concludeva sempre. Del resto, in generale, anche i colleghi lo trattavano con benevolenza. Avevan forse compreso il fanciullo in lui e compativano il visionario, nè pensavano a recar danno a chi tanto poco li disturbava. "Uccello di passaggio", gli diceva qualcuno; "voi presto ci abbandonerete per una posizione migliore!


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Ombre di Lanterna
di Pierangelo Baratono
1909 pagine 254