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      Perfino il Direttore, di quando in quando, sporgeva dall'uscio della sua stanza il visetto angoloso e furbo a interrogare, a rispondere, a gettare un frizzo fra il turbinìo di frasi. Qualcuno rideva rumorosamente; i più sorridevano: tutti rivolgevano a ogni istante gli occhi all'orologio. Un vecchio, dal viso bonario e tranquillo, brontolava: "È troppo, è troppo! In trent'anni d'ufficio non ho mai visto nulla di simile!". Un giovanotto alzava la voce ad avvertire: "Sapete? Fra qualche sera daranno, in teatro, un lavoro di quel grand'uomo. Forse si crede già un genio!". E un altro aggiungeva: "Si giuoca la posizione, vi dico! E sta per ammogliarsi!".
      Verso le dieci un usciere entrò frettoloso, gridando: "È qui; volta l'angolo della strada!".
      - Fatelo venire da me, subito; ordinò il Direttore.
      Gli altri zitti, annuendo.
      Fra quegli impiegati c'erano i buoni e i cattivi, come in ogni accolta di uomini. Pure, sopra ogni volto si vedeva diffusa un'espressione ansiosa ed ipocrita, come di cane bastonato, che non si rivolti a chi lo percuote, ma perchè ha paura, non per affezione. Essi aspettavano un collega, quello su cui si rivolgevano di comune accordo tutte le piccole ire invidie. Lo avean chiamato il Leone, per ischerno; e si aizzavano a vicenda a morderlo, ad abbattere la superiorità non cercata, la noncuranza d'uomo, che non si accorge del male solo perchè non vi ha mai pensato.
      E il Leone entra, un leone un po' spelacchiato, senza criniera e senza coda, ma tranquillo e sicuro di sè come il re della foresta, di cui porta il nome.


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Ombre di Lanterna
di Pierangelo Baratono
1909 pagine 254

   





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