È un uomo sui trenta, di aspetto malaticcio, col viso illuminato da due occhi chiari e ringiovanito dall'assenza naturale di peli. Ha i capelli ricciuti, biondicci, un po' lunghi; le spalle aguzze e strette, il corpo magro. S'avanza, fra il silenzio, volgendo uno sguardo sereno per la sala e mormorando un "buon giorno!" al quale nessuno risponde.
L' usciere, ossequioso, lo avverte
- Il signor Direttore desidera di vederla.
- Ho capito, risponde lui. Le sue labbra hanno un breve sorriso.
I colleghi si stringono in gruppo, non osano più aprir bocca: attendono. Dal gabinetto, ove si è avventurato il Leone, escono parole smozzate. A un tratto s'ode imperiosa la voce del Direttore: "Due ore, due ore di ritardo; capisce? Chi è lei, per godere tali vantaggi? Lavora per quattro, dice? Che m' importa! E il cattivo esempio? E la mia posizione, ch'è in giuoco? Puntuali bisogna essere, puntuali!".
Uno del gruppo si azzarda a susurrare: "Puntuali; e far niente!". Nessuno sorride; tutti hanno il volto duro, stirato dall'attesa.
La voce del direttore continua a suonare aspra, stridula, incalzante: "Ieri un'ora, oggi due; dove andremo a finire?"
- Al manicomio!, azzarda di nuovo il solito commentatore.
Adesso le parole giungono a frammenti. S'ode ancora, distinto, un: "Che sia l'ultima volta!".
Infine, l'uscio si spalanca: n'esce il colpevole, frettoloso; lo rinchiude alle sue spalle. Poi, si ferma innanzi ai colleghi, guardandoli fissi.
Povero Leone! È venuto nella città, dal paesello ove abitava; portava con sè un tesoro di sogni e credeva nella vittoria facile e certa.
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Direttore Leone Direttore Leone
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