Non vedemmo mai più il nostro Baudelaire.
*
* *
A volte, quando nell'osteria veniva qualche altro elemento a ingrossare le file della solita comitiva, si iniziava e conduceva rapidamente a termine qualche processo. Di consueto il presidente era un bel tipo di napoletano, professore d'università, buon chitarrista, ottimo compagnone, pieno d'allegria e d'intelligenza. Ma, per scarsità di numero, molto spesso eravamo costretti a cumulare la qualità di giudice con quella d'imputato. Naturalmente, cercavamo di dare uno scopo alla seduta, obbligando il condannato a pagare... il fiasco. Da ciò risulta chiaro ch'esso era sempre rappresentato dall'individuo supposto possessore, in quella determinata sera, dei soldi necessari per soddisfare la sentenza. Le colpe variavano a seconda del capriccio; si poteva essere accusati tanto di aver rubato la luna come d'aver detto male di Leopardi. Ed anche le prove e le testimonianze erano svariatissime; ma, in fondo, avevano poca importanza, poichè la condanna era decretata, in precedenza, dei giudici. Tant'è vero che una sera venne accusato qualcuno d'essere un asino. L'infelice tentò invano di confutare il pubblico ministero mettendo a nudo il proprio piede, fornito di cinque dita anzichè d'una, com'è abitudine dei filosofi orecchiuti. Non gli valse la prova; poichè dovette battere in ritirata dinanzi alle conclusioni del magistrato, il quale trovò una prova luminosa della di lui asinità nel fatto stesso d'aver creduto imparziale il tribunale.
| |
Baudelaire Leopardi
|