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      Scoperta l'associazione, gli Inquisitori(78) sfrattarono subito il maestro Joure dagli Stati Veneti e sbandarono gli ufficiali ascritti alla loggia di Verona in diverse guarnigioni di terraferma ed oltremare. Nullameno, i germi diffusi dal Joure nel maggior istituto militare della Repubblica lasciarono traccia oltre al rogo dei libri e dei registri della loggia ordinato dagli Inquisitorì, ed essa traspare nel continuo fermento cui andò soggetto il collegio, da quell'epoca fino alla violenta sua soppressione accaduta per opera del generale Rampon, a metà luglio del 1796. Il desiderio di riforme era dunque la spinta principale di quei moti, intesi "a sovvertire l'attuale spirito di concordia, di pace e le leggi della sottomissione e del buon ordine che furono naturalmente stabilite" e di realizzare infine "delle novità nei metodi nello insegnare... non volendo ufficiali ed alunni più vivere soggetti"(79).
      Pure anche questi germogli di giacobinismo, cresciuti come pianta sporadica all'ombra delle torri merlate del castello Scaligero di Verona, dovevano un giorno tornare utili alla Repubblica(80). E ciò avvenne quando si trattò di spedire i primi messaggeri di pace al generale Buonaparte, sotto Brescia; messaggeri che il Senato volle servilmente prescelti fra gli antichi allievi del Collegio Militare veronese, nella speranza che il ricordo delle relazioni "muratorie", perseguitate un tempo e ritornate in onore per la circostanza, valesse a propiziare loro ed alla Repubblica l'animo del conquistatore(81). E questi ufficiali furono il colonnello Giovanni Francesco Avesani ed il capitano Leonardo Salimbeni, inviati il 27 maggio 1796 a Brescia con il mandato di implorare grazia da Buonaparte per l'avvenuta occupazione di Peschiera, fatta pochi giorni avanti di sorpresa dagli Austriaci.


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La Campagna del 1796 nel Veneto
Parte I (la decadenza militare della serenissima. Uomini ed armi)
di Eugenio Barbarich
Tip. E. Voghera Roma
1910 pagine 199

   





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