Di ufficiali inferiori dell'esercito infine, coimplicati in movimenti politici, non si trova traccia nel carteggio della decadenza militare veneta. E questo serve da conferma, tanto del carattere di guardia oligarchica - conservato dall'esercito stesso fino alla rovina del governo della Serenissima - quanto della infondatezza del timore da alcuni nutrito che esso avesse potuto tralignare in mano di audaci e di novatori.
L'espressione di questo sospetto di tradimento - naturale d'altronde in ogni organismo inesorabilmente votato alla rovina - si trova in talune "polizze" anonime trovate nei bossoli del Maggior Consiglio e del Senato durante l'anno 1796(82). Queste "polizze" insinuavano di diffidare dell'ottuagenario tenente generale Salimbeni, comandante in capo delle milizie venete raccolte sotto la piazza di Verona e dei suoi figliuoli, tra i quali era il capitano Leonardo citato più sopra.
Uno di questi foglietti così diceva:
Non prestar fede al generale Salimbeni
.
Un altro ancora proclamava:
Governo, nò ve fidè del generale Salimbeni, Recordève del Carmagnola
.
Un terzo riproduceva il rozzo disegno di una forca, con la scritta:
Per il general Salimbeni
.
Un ultimo infine insinuava:
Il tenente generale Salimbeni è giacobino coi figli ed adora solo l'oro,
Governo, guardatevi che non vi tradisca essendo più francese che suddito".
CAPO IV.
Le truppe assoldate.
Tra il principio dell'assedio di Mantova e le giornate di Lonato e Castiglione i fanti oltremarini, per comando espresso dal generale Buonaparte, furono clamorosamente allontanati da Verona.
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