Ai due rappresentanti di un potere oramai morituro messi così duramente alla porta, tra la vergogna del sottomettersi e l'incertezza dell'esito in una reazione improvvisata senza la ferma volontà di rinsanguarla con il braccio e con la fede, il primo partito parve più prudente e conforme alle necessità dell'ora. E gli Schiavoni, all'alba del 9 di luglio - come Buonaparte aveva voluto - uscirono da Verona di soppiatto, come fuggiaschi di fronte alla fatalità di un destino che incombeva sul loro capo come su quello dei governanti della Serenissima. Le casacche cremisi, che mai avevano indietreggiato per lungo volgere di anni di fronte alla furia turchesca, cedevano ora misteriosamente terreno come pressati dall'avvento delle nuove età. Sotto questa oscura minaccia il passato, quasi fatto persona in quegli ultimi soldati fedeli della Signoria, pareva ripiegarsi su sè medesimo, come dentro le pieghe della vermiglia bandiera della Repubblica.
Tre compagnie del reggimento oltremarino Medin si trasferirono a Vicenza e quattro a Padova, "attendendo in quelle città gli ultimi ordini dell'Ecc.mo Senato". Lo stesso giorno 9 di luglio 1796, le artiglierie del generale francese Rampon salivano indisturbate sui rampari della fortezza di Verona e, con gesto violento, si surrogavano alle armi paesane che vergognosamente si erano date alla latitanza.
Così uscirono gli Schiavoni da Verona. Vi dovevano però ritornare quasi un anno appresso, nel crepuscolo sanguinoso delle Pasque Veronesi, per tingere di rosso quella scena drammatica con cui la Serenissima doveva chiudere il suo lungo e glorioso dominio in terraferma(89).
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