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      Si ingaggiavano, come tutti i soldati mercenari della Repubblica, esclusivamente nei domini di oltremare, d'onde traevano il loro nome da battaglia: illirico era il loro linguaggio ed i comandi militari.
      I capi-leva si occupavano del loro reclutamento - edizione senza confronto migliore e corretta dei racoleurs dell'antico regime - anzitutto perchč questo ufficio era disimpegnato da ufficiali, in secondo luogo perchč era espressamente vietato nello ingaggiare le reclute di usare lusinghe per indurle pił facilmente ad imprendere il pubblico servizio.
      Tutte le reclute - dicevano infatti le capitolazioni dei capi-leva - dovranno essere volontarie e non ingaggiate con frode o con ubbriacarle, sotto pena a chi avesse ingaggiato con frode alcuna recluta, di essere casso immediatamente dal rollo della compagnia (di leva) e spedito in Levanto per anni sei in figura di soldato; ed essendo incapace del servizio, di essere condannato in prigione ad arbitrio di S. E. il Savio alla Scrittura, dovendo i soldati rimettersi ad incontrare il pubblico servizio di buon genio e di tutta loro buona volontą
      (90).
      D'altronde le tradizioni militari dei Dalmati ed il prestigio che aveva presso di loro il veneto governo, disimpegnavano ampiamente gli ingaggiatori dal ricorrere a queste arti subdole. Tra i capi leva in Dalmazia godeva anzi di bella fama, ai tempi di Angelo Emo, il tenente colonnello Carlo Marchiondi(91).
      I capi-leva si aggiravano per le borgate e le campagne di oltremare a far l'incetta d'uomini, coadiuvati da provetti subalterni esperti nella lingua illirica, e l'attivitą loro si esplicava rispetto allo Stato pressochč nell'orbita di un vero e proprio appalto da privative(92).


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La Campagna del 1796 nel Veneto
Parte I (la decadenza militare della serenissima. Uomini ed armi)
di Eugenio Barbarich
Tip. E. Voghera Roma
1910 pagine 199

   





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