L'essenza dell'arte del combattere leggero alla stradiotta, fatto di balenare d'incursioni, di tagli ratti e violenti inferti sul corpo greve dell'avversario, di solchi sanguigni e profondi vibrati sulle terre devastate dalla loro rapacità, era esulata altrove sotto forme più disciplinate e conformi al diritto delle genti, specie in Francia, dove si era raccolta e tramandata, con qualche sapore di venezianità, sotto le insegne del reggimento cavalleggeri Royal Cravates(194).
A Venezia rimase, come di tutto il bello ed il buono del passato, soltanto l'eredità delle memorie. Trascorso il periodo delle grandi guerre e delle lotte di conquista, nelle quali la cavalleria stradiotta con il suo rapido dilagare parve quasi il simbolo e l'arma per eccellenza; ripiegatasi la Serenissima in sè medesima, la cavalleria divenne nell'esercito veneto un'arma esotica. Si restrinse cioè al modesto compito di milizia addetta alla custodia dei confini, alla scorta dei convogli di privative dello Stato(195) e delle reclute, alla guardia d'onore delle missioni e delle alte cariche governative; dedicò infine il proprio servizio al mestiere di staffetta lungo le principali rotabili, per trasmettere con qualche celerità lungo di esse le ducali e gli ordini più urgenti del Savio alla Scrittura.
Sotto questo riguardo adunque la cavalleria veneziana prese la veste di un pubblico servizio e si spogliò delle caratteristiche di arma combattente.
Le esenzioni e le difficoltà dei pascoli, mentre tendevano a raccoglierla in determinati centri meglio provvisti di foraggio, obbligavano per contro a frazionarla in piccoli posti là dove questo scarseggiava.
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