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Vennero ben presto nuove angustie derivate dal contegno che doveva serbare la Repubblica all'aprirsi della guerra per la Successione Austriaca. Il docile strumento dei bilanci guerreschi che sembrava adattarsi all'infinito all'umile compito di dare senza nulla mai chiedere, di risarcire il patrimonio pubblico perchè altri spensieratamente lo godesse senza ombra di preoccupazioni o di affanni per l'avvenire, di servire da vàlvola di sicurezza dell'erario che si avviava al fallimento, cominciò a farsi meno duttile e più prezioso.
Le diffidenze verso la Francia e verso la Spagna, l'aperto viso dell'armi assunto dall'Austria, avevano richiamato alla realtà delle cose con quella pavidità pronta ad ogni dedizione, con quella premura decisa a troncare ogni imbarazzo e che potevano eguagliare la spensieratezza imbelle con cui si era posto mano a disfare gli armamenti. Pure conveniva apparecchiare qualche cosa, se non altro per semplice mostra.
La Repubblica aprì allora docilmente la strada di Campara (Val Lagarina) agli Austriaci - i nemici più vicini - per ingraziarseli; suonò a raccolta per le cerne e racimolò qualche migliaio di vagabondi tratti dai riparti d'Italia e d'Oltremare per innestarli nell'esercito. Alle potenze più lontane offrì in pegno la dichiarazione della sua terza neutralità a mò di una presuntuosa etichetta fatta per coprire una merce avariata. Ed il costrutto positivo di tutte queste pratiche si fu quello di riallentare i cordoni della borsa.
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